Wayward Ribelli - Manipolazione e dipendenza nelle sette
- alesefederica
- 29 set
- Tempo di lettura: 5 min
Questa meravigliosa serie ci mostra un quadro perfettamente chiaro della manipolazione mentale su cui si fondano tutte le sette.
Sappiamo bene che la manipolazione non è solo legata a gruppi ma anche a relazioni duali, ad altri contesti e ambienti. Rimaniamo però sull’argomento che più ci piace, ovvero le famiglie, le storie di vita e cosa succede quando la disfunzionalità prende piede silenziosa e sottile.
Non entrerò nella descrizione della serie, quindi chi non l’ha vista avrà difficoltà a cogliere i miei riferimenti.
Partiamo dal contesto: adolescenti “difficili”, famiglie e istituzioni (vedi scuola) non in grado di prendersene cura. Tutte le punizioni messe in atto dai genitori sembrano inutili, non sortiscono alcun effetto sulla figlia, anzi, sembrano peggiorare la situazione.
Questa incapacità educativa della famiglia e della scuola amplia il divario che (già) c’è tra l’adolescente e il mondo degli adulti. La sofferenza è talmente tanta da doversi rifugiare nell’unica cosa rimasta: le amicizie. Il legame stretto con chi sa cosa stai passando, arricchito da trasgressione, sostanze usate come antidepressivo, esplorazione del proprio corpo e della propria sessualità.
In una società che non funziona si delega la genitorialità; in una società sana si aiuterebbero le famiglie.
La delega della genitorialità nella serie viene affidata ad una “scuola”, che ha tutte le sembianze di un riformatorio, di un carcere minorile, in cui i ragazzi possono realmente comprendere i loro “peccati”. Questa delega, oltretutto, avviene senza che la famiglia possa accompagnare il proprio figlio in questo percorso, ma i giovani vengono direttamente caricati da infermieri e, se necessario, sedati in piena notte.
Ovviamente la serie ha la giusta funzione di esagerare e di essere eclatante, ma simbolicamente rende benissimo l’idea di questi genitori sprovvisti di qualsiasi strumento emotivo ed educativo che affidano i propri figli a queste metodologie anacronistiche, superate, non valide, al limite del legale, leggendo semplicemente un opuscolo e fingendo di non aver visto il proprio figlio caricato come un paziente in piena crisi psicotica.
Il messaggio di fondo è sempre quello: prendilo, curalo e ridammelo aggiustato! Perché io non so come fare e soprattutto perché io genitore non c’entro nulla. Non voglio vedere. Non voglio sapere. Voglio solo che me lo riporti “normale”.
La manipolazione della nuova scuola inizia con la paura e con la cancellazione della soggettività. Vieni spogliato di tutti i tuoi effetti (un po’ come in carcere), sei costretto ad indossare gli stessi vestiti degli altri, le stanze sono tutte uguali, senza porte, quindi senza privacy, devi studiare un manuale di comportamento che tutti devono applicare alla lettera. Nessuno ti dice o ti spiega nulla, e questo aumento la mancanza di controllo e, di conseguenza, la paura.
Eliminare la soggettività è una delle principali azioni delle sette. Non c’è spazio per la differenziazione, è necessario essere tutti uguali. Tutti uguali…tranne il Guru, il Capo, in questo caso la “Preside”. Ci deve sempre essere qualcuno di superiore, qualcuno a cui aspirare, un genitore divino che dall’alto della sua posizione ti osserva, ti giudica, ti guarda, ti pensa.
Nella serie la manipolazione continua con l’idea spiattellata, buttata addosso, che il problema sei tu. Il problema è l’adolescente perché è cattivo, perché ha fatto soffrire i propri genitori e la propria famiglia. Questo pensiero che viene costantemente ripetuto, viene ampliato ancor di più nella “griglia”, cioè un gruppo in cui bisogna dire le cose negative ai compagni di scuola, ma offendendo, esagerando, usando cattiveria (a volte anche mentendo), perché questo farà bene alla persona che le riceverà. È necessario mettere gli uni contro gli altri, rompere i legami, evitare che qualcuno diventi amico. Le sette hanno bisogno di persone sole e isolate mentalmente e affettivamente. Ricevere queste critiche in questo modo non aiuta nessuno, anzi, aumenta la rabbia e il bisogno di rivalsa.
L’unico modo per interrompere questo stillicidio è ammettere che è tutto vero, scusarsi e abbracciarsi con gli altri, in una modalità disfunzionale di contatto, in cui si entra metaforicamente dentro l’altro, si violano confini, si ingloba l’altro. Anche questo serve per eliminare tutte le differenze, tutte le diversità. Dobbiamo essere un tutt’uno.
Nella serie si vede come le protagoniste facciano fatica a sopportare questo clima, sono affaticate, oppresse, impaurite, sole. Provano a scappare, a trovare una soluzione per uscire, a chiedere aiuto; ma tutto sembra contro di loro, perché tutto è manipolato e controllato dalla setta.
Il passo successivo è quello di passare da “è colpa tua” a “i tuoi genitori non ti volevano bene, sono stati cattivi con te, preferivano tua sorella”. Si inizia a creare un nemico che, solitamente, sono le famiglie e poi, piano piano, il mondo intero, che è diverso, che non ti capisce, che è brutto, che è pericoloso, e soprattutto che non fa per te. Nella serie questo avviene anche con abusi psicologici come la stanza della porta, nella quale la persona è costretta a stare per 24 ore con la luce accesa e una voce registrata che ti dice di aprire una porta che non esiste ed è proiettata sul muro. Queste sono vere e proprie violenze psicologiche, che purtroppo non sono così lontane nella realtà delle sette.
La frustrazione, unita alla stanchezza e al non riposo, può portare la persona a perdere il controllo, a non essere più lucida e non avere più certezza di quello che è reale e di quello che non lo è.
Il passo successivo è manipolare i ricordi della persona, che come abbiamo detto è stanca e in una condizione psicologica non lucida, utilizzando una comunicazione indotta a far dubitare la persona stessa dei suoi stessi pensieri e ricordi. “Sei sicura che è andata così?” “Ne sei certa?” “Ripensaci” “Guarda meglio dentro di te”. I ricordi sono molto facili da ricostruire in maniera errata, la nostra memoria, aimè, è molto fallace e quindi anche “modificabile” se vengono applicate domande suggestive.
Nella serie accade una cosa che appare confermare quello che la setta vuol far crede alla giovane ragazza. Durante la chiamata a casa, la ragazza si aspetta che la madre si interessi a lei, le chieda come sta, le dica che le vuole bene, invece la madre è impegnata ad uscire con il nuovo compagno e senza troppi dispiaceri liquida la figlia in pochi minuti.
Questo è un elemento saliente, perché ci spiega come mai le sette riescono a reclutare sempre persone che già provengono da situazioni di disagio e di sofferenza; difficilmente riescono a manipolare persone con una vita più o meno sana, funzionale e inserite in un contesto sociale, lavorativo e relazionale buono. Infatti nella serie la ragazza si rende conto di essere veramente sola e che forse quello che le dicono lì dentro non è poi così sbagliato.
È proprio in questo momento che l’approccio del Guru cambia. Si avvicina, ti fa sentire amato, speciale, ti dice che vede in te qualcosa di diverso da tutti gli altri, ti dice che si fida di te, ti dà dimostrazione della sua fiducia.
La persona finalmente si sente compresa, amata, curata, e comincia a pensare che forse rimanere lì, in quel mondo ovattato, non è così male.
Ecco la dipendenza. Senza di loro non posso vivere. Senza di loro non esisto.
Nella serie, inoltre, vediamo come la manipolazione mentale porti le persone a commettere omicidi (pensiamo alla Famiglia Manson), a riproporre le stesse modalità pensando che siano diverse. Nelle varie puntate si scopre che la cittadina è formata solo da ragazzi usciti da quella scuola e diventati poi adulti, un mondo ovattato dove non è possibile fare un figlio, dove non si esce dai confini, non si viaggia, non si conosce la differenza. E proprio in quel contesto si ripropone una disfunzionalità relazione che non può essere interrotta, perché usa le stesse dinamiche di ciò che l’ha innescata.
L’unica possibilità è andarsene. Nella serie come nella vita. Non c’è modo per sopravvivere alle sette, per cambiarle, per starci bene dentro. L’unica soluzione è andare via.
E questo vale per qualsiasi dipendenza.
Commenti