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Perché è così difficile dire di no?

  • alesefederica
  • 1 giorno fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Spesso nelle sedute che svolgo mi capita di affrontare con i pazienti il complesso tema del "dire di no"; molti mi chiedono perché è così difficile e, a volte, così angosciante riuscire a pronunciare quella piccola parolina.


Perché il NO ha una lunga storia culturale e familiare che ci portiamo dietro. Il NO è tipicamente associato ai bambini piccoli, alla fase dei terribili due; una parola che evoca tutte le difficoltà di chi la riceve, più che di chi la pronuncia.


A differenza dei primi anni di vita però, nell’adultità entra in gioco quella facciata educativa, quel galateo delle relazioni, in cui ci si sente sbagliati nell’esprimere i propri bisogni. Perché sì, il NO può essere un’espressione dei propri bisogni.


Proviamo a fare un esempio: un gruppo di amici con il quale solitamente ti frequenti, ma che nell’ultimo periodo senti più distante a livello emotivo ed affettivo, organizza una cena e ti invita. La prima cosa che pensi è: non mi va, non me la sento, non ho voglia di passare del tempo con loro in questo momento. Quello che vorresti dire è: "scusate ragazzi ma questa sera non mi va, non me la sento, preferisco rimanere a casa". Questo potrebbe vuol dire esporsi a critiche e svalutazioni da parte loro, come ad esempio: "Oddio mio ma che devi fare? Non ci sei mai, non stai mai con noi. Sei sempre stanca, mica lavori solo tu, lavoriamo tutti. Vabbè avrai qualche altra cosa da fare. Forse ti stiamo antipatici, o forse ti senti superiore a noi. Fai come ti pare, se non vuoi venire pazienza". 

Non ti senti accolta nelle tue motivazioni, non ti senti validata nelle tue emozioni, è come se non avessi il diritto di provare quelle sensazioni. Non solo, ma questo potrebbe portarti ad essere esclusa da altre cene o momenti di ritrovo a priori, senza neanche essere consultata.


Questa profonda sensazione di sentirsi sbagliati e non compresi, porta la persona a dire: "Sì, vengo". Mettendo da parte quei reali bisogni, chiedendoli in un cassetto della mente, sperando che non si trasformino in stati ansiosi e/o depressivi, in insoddisfazione della propria vita, in sintomi psicosomatici, ecc.

Non c’è un terreno fertile per poter esprimere e comprendere le emozioni che le persone stanno vivendo. Probabilmente gli amici, o i familiari, ai quali diciamo NO potranno sentirsi dispiaciuti, tristi, potranno non comprendere cosa sta accadendo in quella relazione, ma non saranno in grado di accettare ed aprirsi all’altro, ma solo di chiudersi in una fortezza difensiva con tanto di arcieri pronti a ferire chiunque si avvicini.


È sempre difficile comunicare in modo autentico e chiaro quello che proviamo all’interno di una relazione, e questo aumenta di difficoltà se lo pensiamo nell’ambito familiare, con genitori, parenti, fratelli, cugini. Una frase che racchiude questo galateo ambientale poco sano e funzionale è: pare brutto. Cioè, sembra brutto, scortese dire di no, perché l’altro potrebbe offendersi e se l’altro si offende io non so come gestire il conflitto, ho paura perché penso che litigheremo e chiuderemo questo rapporto, io verrò vista come quella strana, sbagliata, antipatica e questo è per me insopportabile. 


Nelle famiglie il conflitto può essere visto come distruttivo: si può arrivare alla violenza verbale e non, al silenzio punitivo che dura per giorni o settimane, fino all’annientamento della diversità dell’altro. Per questo esprimere i propri bisogni viene sentito come pericoloso e angosciante dalle persone, perché hanno vissuto una conflittualità disfunzionale, in cui non c’era possibilità di confronto e di esaltazione delle differenze individuali.


In terapia è possibile innanzitutto vedere e comprendere i propri bisogni, viverli, sentirli, toccarli con mano, capire perché sono cambiati, studiarli da vicino con un microscopio, confrontarli con la vita che stiamo vivendo, accettarli, e successivamente imparare a comunicarli, in modo assertivo e chiaro, lasciando che gli altri si prendano cura dei loro bisogni e delle loro emozioni nel momento in cui noi esprimeremo i nostri.

 
 
 

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