Viviamo in un mondo che culturalmente demonizza il dolore, come se l'essere umano fosse così fragile da non poterlo assolutamente provare.
Cerchiamo situazioni, rituali, che ci facciano sentire al sicuro, protetti da ogni forma di destabilizzazione. Il capitalismo è frutto di questo pensiero; siamo arrivati a relazionarci solo con l'agio, solo con telefoni e apparecchiature che ci sollevano dal fare qualsiasi sforzo: abbiamo il telefono al posto dell'orologio, così basta girare il polso, abbiamo Alexa che ci fa le ricerche senza dover aprire lo schermo e digitare le parole.
Viviamo in relazioni ormai finite, ma comunque sicure, stabili.
Il grande compresso filosofico tra felicità e sicurezza, tra dolore e piacere; siamo così intenti a cercare un equilibrio perfetto da non renderci conto che perdiamo entrambi e ad un certo punto non proviamo più nulla.
Il dolore, come la felicità, come le altre emozioni, va vissuto, per permetterci di provare proprio il contrario, la felicità, la serenità. Ragioniamo per differenze, apprendiamo per differenze: se non conosciamo il nero, non possiamo vivere il bianco. E in questo continuum, tra la luce e l'oscurità, troviamo il grigio....che poi tanto non grigio non è, perché guardando bene si può vedere il giallo, l'azzurro, il rosso, il viola, il verde e tutte le sfumature dell'arcobaleno.
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