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La libertà è per pochi

  • alesefederica
  • 7 ore fa
  • Tempo di lettura: 4 min

In questa società capitalista orientata al narcisismo e all’individualismo, il termine libertà è diventato un sinonimo di egoismo, di arroganza, di presunzione. Perché, aimè, molti pensano che essere liberi vuol dire proprio questo: coltivare il proprio orticello a scapito degli altri, passando sopra a chiunque pur di raggiungere i propri obiettivi.


Spoiler: questa non è libertà!


Proviamo ad entrare in questo discorso da un punto di vista psicologico.

Ma prima un piccolo incipit: dovremmo nascere liberi, ma non per tutti è così. Ha molto a che vedere con il luogo in cui nasci. Diciamo però che dovrebbe essere dannatamente ed esattamente così: LIBERI.


Nel primo anno di vita, il bambino ha bisogno, per sopravvivere, di cure pratiche, reali, affettive, emotive, protettive, autentiche. Nutrizione e presenza, se fosse così semplice riassumere in due parole le basi di un processo evolutivo. In quel primo anno si pongono le basi per il Sé del bambino, per l’identità, per l’individuo che sarà; tramite il rispecchiamento e la relazione con le figure di accudimento, il bambino può procedere con i vari step evolutivi, come ad esempio il linguaggio e lo sviluppo motorio.

All’inizio però, il bambino è convinto di essere un tutt’uno con la figura principale di attaccamento, crede che non ci siano distinzioni, e lo crede perché ogni volta che lui ha un bisogno, mangiare, essere cambiato, essere coccolato, essere addormentato, l’adulto, giustamente, si presenta e risponde a questo bisogno.

Di conseguenza ha una visione Io-centrica, non è ancora in grado di pensare al concetto di relazione, perché per essere presente una relazione devono esserci almeno due individui distinti, a sé (Sé) stanti.

Con il passare dei mesi, e più o meno fino all’anno di età, il bambino svilupperà funzioni e strumenti cognitivi e relazionali che lo definiranno come essere vivente singolo, diverso dalle figure di attaccamento, diverso da tutti. Imparerà a comunicare, imparerà a camminare, imparerà a mangiare altre cose, a bere acqua, a scoprire cosa gli piace e cosa no. Fino ad arrivare alla conoscenza della differenza tra lui e gli altri.


E qui entra in gioco la libertà. La libertà nasce dall’evoluzione. “Sono libero, posso camminare e correre lontano dai miei genitori, posso mangiare praticamente tutto, so che quando ho sete voglio bere, so comunicare con gli adulti e con gli altri bambini. Ma la libertà mi fa paura, perché vuol dire allontanarmi dai miei genitori, non avere quell’accudimento, quell’abbraccio, quella sicurezza. Allora faccio qualche passo avanti e poi torno dietro, vado a giocare ma li cerco con lo sguardo, faccio qualcosa e guardo la loro reazione. Ma soprattutto ho imparato (a differenza di quando pensavo che fossimo un tutt’uno) che se non vedo i miei genitori perché sono nell’altra stanza, loro esistono ancora, non mi hanno lasciato, non sono spariti dall’universo. Quindi anche se mi allontano, poi li ritrovo.”

Ebbene sì, li ritroviamo dentro di noi tramite l’attaccamento che abbiamo creato. Non siamo mai soli, siamo fatti di parti, e siamo fatti di noi stessi. Ma se l’attaccamento che il bambino ha sviluppato non è così sicuro, tendiamo ad avere ambivalenza, evitamento o disorganizzazione.

Questo ci porterà, da adulti, ad avere troppa paura di perdere l’oggetto d’amore se ci allontaniamo o ad evitare relazioni, autoconvincendoci di non averne bisogno, per non soffrire, oppure a sviluppare psicopatologie e disagi psichici, più o meno gravi. Ma rimaniamo sul concetto di libertà.


Se divento libero, rimarrò solo, nessuno si occuperà di me. Ho paura”. Compiacenza, dipendenza, accondiscendenza, difficoltà a sviluppare un Sé adulto in grado di consolarsi da solo, di costruire, di sentirsi, di decidere per sé; scelta del partner in base ad “incastri psicologici inconsci”.


Se mi avvicino troppo all’altro perdo la mia libertà, rimango incastrato. Ho paura”. Diffidenza, indipendenza traumatica, difficoltà nelle relazioni, egoismo, disinteresse verso l’altro, incapacità di leggere i propri bisogni, insofferenza verso le relazioni che vengono viste come ostacolo per il raggiungimento dei propri obiettivi.


Eccole, le due facce della stessa dimensione (della stessa medaglia) tanto diffusa in questa epoca: il narcisismo patologico e la dipendenza.


È questa, invece, la libertà. Sempre più nascosta, sempre meno capita, sempre meno esperita.


Sono libero, non ho catene, ma se voglio posso avere legami”. Ho consapevolezza dei miei vissuti, dei miei bisogni e del mio funzionamento; tra questi bisogni può esserci la presenza dell’altro e posso costruire il legame nel pieno rispetto del consenso dell’altro e della libertà dell’altro. Non c’è ricatto emotivo, ma solo comunicazione autentica. Non ci sono dinamiche inconsce (o meglio, quando ci sono vengono prese in carico), ma un lavoro pieno e consapevole su sé stessi. La persona libera è in grado di stare sola, perché sa che è in compagnia di sé stessa e basta questo.


Bateson ci insegna che le differenze creano apprendimento, per questo diciamoci che la libertà NON è:

  • Prevaricazione

  • Non rispettare la legge

  • Passare sopra gli altri

  • Pensare di avere il diritto per togliere la libertà ad altre persone

  • Fare quello che si vuole

  • Essere più fighi degli altri

  • Obbligare gli altri a fare qualcosa per un proprio credo personale

  • Poter dire quello che si vuole

  • Non pensare alle conseguenze delle nostre azioni e delle nostre parole

  • Isolarsi


La libertà ha a che fare con la civiltà. Ma la libertà è per pochi.






N.B. “Il termine civiltà, proveniente dal latino civilitas, a suo volta derivato dall’aggettivo civilis, cioè attinente al civis e alla civitas, indicava l’insieme delle qualità e delle caratteristiche materiali, culturali e spirituali di una comunità, che spesso venivano contrapposte al concetto di barbarie.

 
 
 

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