Questa estate mi sono imbattuta nel podcast di FanPage sulla Comunità Shalom e ho sentito il bisogno di riflettere molto su quello che avevo ascoltato.
Avevo seguito l'indagine sia su internet che sullo speciale di La7, ma sentirlo nelle orecchie mentre si cammina e si respira libertà e natura, è stato per me paradossale e assurdo.
Al di là della vicenda che spero venga presa in carico dalla giustizia e dai servizi sanitari, al di là del sistema colluso di cui l'Italia porta la bandiera, e di tante, tantissime riflessioni che si possono fare sulla cura psicologica, psichiatrica e di comunità, la mia mente si è concentrata su un aspetto in particolare.
L'utenza di Shalom era molto ampia: da pazienti psichiatrici, a tossicodipendenti, a semplici ragazzi "problematici". Ognuno di loro portava dentro una sofferenza, più o meno grande, più o meno grave. Immagino che anche le famiglie di questi ragazzi erano stanche, abbattute, tristi, e preoccupate, e proprio per questo non riesco a comprendere come sia possibile affidare la vita del proprio figlio a persone non formate per questo lavoro.
Più andavo avanti con il podcast, più mi rendevo conto che, ancora oggi, nel 2023, la cura e l'educazione vengono affidate alla religione e non alla scienza; non a chi ha studiato 20 anni, a chi si aggiorna quotidianamente, a chi è controllato dagli organi preposti, ma alla Chiesa cattolica in tutte le sue forme.
Molte comunità terapeutiche hanno un'origine religiosa e si fondano sui principi della chiesa cattolica, ma hanno all'interno un numero di professionisti formati e specializzati. Questa comunità di cui si parla aveva tre suore, e il resto del personale erano ex ospiti che diventavano, dopo un quantità di anni e un certo grado di manipolazione, "carcerieri" dei loro compagni.
Sicuramente la "pratica" educativa che veniva portata avanti poteva non essere ben chiara ai genitori, ma mi sembra invece molto definito e certo che in questa comunità non c'erano educatori, riabilitatori psichiatrici, psicologi, oss, infermieri, e che la comunità non era accreditata al Servizio Sanitario Nazionale.
Come è possibile che questi genitori abbiano affidato i loro figli alle cure della religione? Come è possibile che questi genitori non si siano affidati allo Stato?
Sono domande che generano dubbi, riflessioni, amarezza. Eppure questo è accaduto.
La cura è un contesto delicato, dopo il rischio di scivolare è davvero alto; per questo le vere Comunità sono aperte ai controlli e alle critiche, per questo sono formate da professionisti che si mettono in discussione con supervisioni e riunioni continue, per questo sono "alla luce del sole", per permettere di ristrutturarsi quando necessario.
I danni psicologici che possono essere causati da una "cura" senza fondamenti sono davvero immensi; le persone possono non riprendersi mai più.
Credo che lo Stato Italiano debba fare una riflessione importante sul Servizio Sanitario e sulle cure psicologiche e psichiatriche ad oggi presenti sul territorio, perché se i genitori pensano che sia più utile affidarsi ad una suora che ad un professionista, qualcuno ha fallito.
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