Negli ultimi decenni c'è stato un cambiamento sottile ma molto netto che riguarda il ruolo del genitore.
Sembra ormai estinto il genitore distaccato, emotivamente freddo, che puniva quando era necessario (e a volte anche quando non lo era). Sembrano finiti i tempi della gerarchia genitoriale, delle frasi: "adesso che arriva tuo padre…". E sicuramente su tante cose possiamo e dobbiamo dire: per fortuna!.
Ma è successo qualcosa che forse non ci aspettavamo: siamo passati da questo, all'estremo opposto, senza riuscire a fermarci nel mezzo, senza trovare quel grigio che ci permetterebbe di creare cambiamenti positivi e funzionali.
Lo scettro del potere è passato ai ragazzi, ai bambini, di qualsiasi età; non ci sono più punizioni, responsabilità, ma solo tante emozioni senza controllo e contenimento; non ci sono più genitori ma adultescenti (cit. P. Crepet); non esiste la sana coalizione con gli insegnanti per il bene dei ragazzi, adesso c'è la famiglia che combatte la scuola, come se avessero obiettivi diversi.
Quanta confusione…
I genitori di oggi sono figli di un congelamento emotivo delle generazioni precedenti, figli di una cultura poco permissiva, figli dell'assenza del libero arbitrio; e come tutti i figli che si rispettino, hanno deciso di fare esattamente il contrario di quello che hanno ricevuto dalle loro famiglie. Ma l'hanno fatto senza una maturità giusta e una consapevolezza, ma solo per riscatto, per vendetta.
Ed ecco dove ci troviamo oggi.
"Il bambino sovrano. Un nuovo capo in famiglia" è un libro del 2004 di Daniel Marcelli, che espone come, sempre di più, i genitori vengano in consultazione per malefatte di bambini anche molto piccoli che, ad esempio, rifiutano di mangiare seduti a tavola e al minimo rifiuto rispondono con una collera devastante. Nel libro, Marcelli, fa un'analisi sociale molto dettagliata che ci porta a comprendere come mai sia avvenuto questo.
I genitori di oggi trattano i loro figli come se non fossero in grado di vivere nessun tipo di frustrazione, come se non fossero capaci di rispettare delle regole, come se fossero nati con qualcosa in meno, e quindi c'è bisogno di colmare questa mancanza, questo vuoto, con tutto quello che è possibile reperire. Ovviamente tutto quello che di materiale c'è: da giochi a peluche, da libri a consolle, da biciclette a "macchinette". Tutto. E poi quello più astratto: un'infinità di amore spasmodico, che sembra una cosa molto bella, ma in realtà molto effimera, molto plateale.
"Io non ho avuto tutte queste cose, i miei non se le potevano permettere, quindi adesso a mio figlio voglio dare tutto"; "Mio padre non mi faceva mai uscire, non voglio che i miei figli vivano quello che ho vissuto io, quindi li lascerò molto liberi"...ecc., ecc., ecc...
E' un continuo confronto, un continuo mescolare la propria immagine con quella dei propri figli. Non sono distinte le persone, sono una l'evoluzione dell'altra; come se ognuno di noi creasse una copia di sé stesso permettendogli di avere una vita più serena, più felice, più semplice.
Sfugge dalla mente di questi genitori che il figlio è una persona a sé, diversa, individuale, con altri bisogni, con altre esigenza, con altri hobby, con altre caratteristiche. E soprattutto con tutto il diritto di vivere la propria vita e non quella "rifatta" del proprio genitore.
La fragilità di questi adultescenti, un po' adulti un po' adolescenti, è disarmante. E questa fragilità viene minata quando, qualcuno dall'esterno, mette in dubbio questo modo di esistere: la scuola quando convoca i genitori perché c'è qualcosa che non va, perché il ragazzo sta avendo delle difficoltà; il coach quando gli consiglia un altro sport, o lascia in panchina il ragazzo perché non è così portato, o non è così invogliato; la giustizia, quando il ragazzo commette un reato; la società quando invia un feedback negativo circa il suo stare in mezzo agli altri. Tutto questo viene vissuto come un attacco feroce, ma a cosa? Al bambino? Alla sua sicurezza? Alla sua stabilità emotiva?
No.
Ai genitori, alla loro fragilità, alla loro incompetenza, alla loro immaturità. E questo è impossibile da gestire, è troppo doloroso. Succede allora che l'insegnante diventa cattivo e "ce l'ha con mio figlio"; succede che si iniziano a cambiare squadre, allenatori; succede che la legge ha sbagliato, la colpa è delle "guardie", l'hanno incastrato; succede che la società è sbagliata. Per non parlare di psicologi e psichiatri, logopediste, pedagogiste e tutte le altre figure che possono entrare in campo, che sono, ovviamente, cretini, scemi, stupidi, inutili.
E poi succede un'altra cosa ancora, che i bambini, i ragazzi, non vivono più la frustrazione, l'attesa, la conseguenza ad uno sbaglio, la tristezza, la vergogna, l'imbarazzo, e diventano altri adultescenti, ancora più compromessi, e così via a continuare.
La rabbia è la regina di quest'epoca. Lo vediamo nel traffico, al supermercato, in televisione. La rabbia agita senza motivo, solo per non sentire la tristezza, la solitudine, il dolore.
Ritornando alla mia riflessione iniziale "Genitori che difendono figli: protezione o collusione?", credo che la risposta sia un'altra, o forse la domanda. Chi stanno realmente proteggendo: i loro figli o sé stessi? E credo che la risposta sia la seconda.
La protezione genitoriale è ben altro ed è composta da elementi chiari. I genitori proteggono ascoltando, comprendendo, mettendo limiti, insegnando il desiderio, amando, mettendosi in discussione, allargando l'orizzonte, definendo i ruoli, rispettando l'altro, responsabilizzando.
La riflessione è davvero ampia e complessa, ma nel nostro piccolo, ognuno di noi, può domandarsi in che modo sta proteggendo, in che modo sta amando, e soprattutto, perché.
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